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  • Pestapere

Pandemia: non tutto è andato storto.

Aggiornamento: 5 dic 2022



Alcuni spunti di riflessione sulla pandemia con un focus sul pianeta lavoro.



A poco più di due anni dall’inizio della pandemia, è forse il momento di uno sguardo retrospettivo.


La prima notazione, che emerge per tabulas, è che la crisi ha slatentizzato le debolezze di un Sistema Sanitario che, quasi dappertutto, si è scoperto fragile nelle parti riguardanti la medicina territoriale e di base.


A seguire, tra le manchevolezze che si sono manifestate possiamo segnalare la mancanza di un efficace Piano Pandemico, l’insufficienza, anche di idee, nella riorganizzazione dei trasporti locali, la gestione farraginosa delle problematiche della scuola e uno stile comunicativo che ha fatto inutilmente ricorso a toni bellicistici, seguiti, peraltro, da comportamenti non consonanti.


Anche nell’ambito dei “ristori”, passata la fase della massima urgenza, è possibile affermare che le provvidenze monetarie avrebbero potuto essere maggiormente collegate e condizionate a forme di maggiore congruità fiscale.


Tra gli aspetti positivi, che accompagnano quasi sempre anche le sventure, si può annoverare, in primis, la riscoperta del senso della comunità.


Pur vivendo in una società iper individualizzata, tutti hanno potuto percepire che la salvezza dalla pandemia poteva arrivare solo dalla nostra appartenenza a contesti più ampi.


Contesti familiari e di vicinato per la gestione spicciola dell’esistenza, contesti locali per quel che concerne l’assistenza, regionali e nazionale per la gestione della profilassi sociale, comunità europea per quel che riguarda il supporto finanziario per l’avvio della ripresa, ambito mondiale per i i vaccini.


Nel corso dei momenti più duri della pandemia abbiamo tutti dovuto convenire sulla centralità del concetto di Interdipendenza che supera il dualismo tra miope localismo e globalizzazione dissennata[1].


Un altro aspetto positivo può essere considerato la riscoperta, forzata dalle circostanze, di stili di vita più sobri rispetto ai consumi.


Con il segno più, anche la sostanziale tenuta della rete internet e il suo maggiore utilizzo soprattutto nel settore del commercio elettronico sia pure con ricadute negative sui negozi di vicinato


Interessante in campo manifatturiero, e gravido di favorevoli risvolti, il ripensamento delle catene del valore (che potrebbe dar luogo a fenomeni di reshoring), nonché la nuova considerazione del concetto di ridondanza a scapito del just in time esasperato.


La complessa distribuzione di responsabilità tra Stato, Regioni, Parti Sociali, Enti Regolatori nazionali e sovranazionali rende arduo, in attesa che anche la magistratura completi gli accertamenti in corso, attribuire meriti e demeriti.


Dal punto di vista strettamente sanitario, un bilancio più completo su come il Sistema Italia abbia affrontato la crisi pandemica, si potrà avere quando saranno disponibili i numeri definitivi di mortalità e letalità.


Al fine di superare il problema dei decessi “da”, per” e “con” COVID, un dato eloquente sarà quello ricavabile dal confronto del numero dei decessi di un anno pandemico con la media dei decessi dei cinque anni precedenti.


Un altro numero eloquente e comparabile tra Paesi europei, sarà, quando disponibile, quello dei giorni di vita persi rispetto all’attesa di vita media ante COVID: questo dato, considerata l’elevata età media in Italia, farebbe, probabilmente, meglio figurare la nostra situazione.


Una valutazione più articolata va riservata al mondo del Lavoro.


Durante la fase acuta della pandemia si è assistito a un massiccio ricorso a ammortizzatori sociali e a una modalità di Smart Working[2] che, soprattutto nel Pubblico, ha preso vita in una forma assai primordiale.


Nel periodo della prima emergenza, del “si salvi chi può”, quando ancora non erano disponibili i vaccini, si è ricorsi in modo massiccio a forme di “lavoro a casa” che, all’apice, si stima abbiano riguardato fino a 8 milioni di lavoratori.


Si è trattato di un’esperienza, obbligata dalle circostanze, che ha colto, soprattutto la Pubblica Amministrazione, largamente impreparata sul piano tecnico organizzativo e della tutela della privacy, e che è stata prolungata oltre il tempo strettamente necessario, con gravi ricadute nei servizi erogati.


Non può sfuggire che il “lavoro a casa”, chiamato Smart Working con un certo garrulo compiacimento, ha riguardato anche il 30% del territorio italiano con assenza o gravi carenze nella connessione alla rete e che nella PA, non infrequentemente, ha fatto le veci della Cassa Integrazione Guadagni.


Negli ultimi mesi, sia per merito dei vaccini, che per alcuni miglioramenti organizzativi, si è cominciato a gestire in modo più appropriato il tema del lavoro fuori ufficio.


Interessante e meritevole di approfondimento la tendenza e le motivazioni per le quali molti lavoratori, passato il momento iniziale di massimo gradimento e necessità, sembra gradiscano, al calare della pandemia, un uso più limitato della possibilità di lavorare presso la propria abitazione.


Se il Lavoro ha dato prova di potersi flessibilizzare sull’asse della variabile spazio, la stessa cosa non può dirsi su quello della variabile tempo: sia per quanto riguarda gli orari giornalieri che quelli settimanali.


Questa notevole rigidità è responsabile non secondaria della gestione non ottimale delle scuole e dei trasporti.


Salvo casi rarissimi, la collocazione del riposo nella giornata di sabato (che non è una giornata propriamente festiva), anche quando la pausa avrebbe potuto essere utilizzata in altro giorno della settimana, e anche quando, a causa del COVID, il weekend non era così seducente, è stata la linea del Piave per lavoratori e sindacati.


Per dare un’idea del giovamento che avrebbe comportato il ricorso a un sistema di riposi a scorrimento durante tutta la settimana, basti pensare che l’affollamento dei trasporti (e la possibilità di contagio), solo con questo provvedimento, sarebbe sceso di circa il 20%. [3]


A questa semplice misura si sarebbe potuto affiancare quella del lavoro individuale su solo quattro giorni della settimana, di cui uno in Smart Workig, con benefici ancora maggiori.


Benché siano comprensibili le esigenze connesse alla gestione delle famiglie, lascia molto perplessi che l’attività lavorativa, tipicamente concentrata dalle 8.30 alle 17.30 dal lunedì al venerdì, sia stata modificata solo raramente e con grandi sforzi, risultando, di fatto, come l’unica praticabile anche in momenti di crisi.


Trascorsa la fase acuta del contagio, l’occupazione sta aumentando in modo significativo, e, nonostante alcune dolorose crisi aziendali, che tuttavia risultano al momento circoscritte, il livello di occupazione sta risalendo.


Dal punto di vista delle caratteristiche dei posti offerti, si sta accentuando il carattere, già preesistente, della loro precarietà che, tuttavia, con il consolidarsi della ripresa potrebbe, almeno in parte, confluire in forme di lavoro più stabili.


In generale, a mano a mano che l’economia italiana esce dalla fase di catch up, risulta evidente che, la qualità del contesto (riforme di sistema e infrastrutture) e del Capitale Umano sarà decisiva per realizzare le condizioni di per una occupazione diffusa e dignitosa.


Gli studi più recenti dimostrano, infatti, che il Digitale, se incontra risorse di qualità, almeno a livello aggregato, fa aumentare l’occupazione; questa considerazione è confermata dall’osservazione che nei Paesi nei quali si riscontra il massimo di digitalizzazione questa si accompagna sempre a una ridotta disoccupazione.


Altre strade che assicurino l’occupabilità, in particolare delle categorie più svantaggiate, sono decipienti; al proposito, suscita perplessità la proposta di spingere per legge l’assunzione delle donne e dei giovani con la generalizzazione dell’obbligo della loro assunzione già previsto per l’esecuzione delle opere finanziate dal PNRR.


Sul tema del lavoro possiamo quindi sperare di tornare presto “al punto di prima” che, tuttavia, più che un punto di arrivo, dovrà essere considerato soltanto il punto dal quale partire per consolidare gli aspetti meramente quantitativi, ma, soprattutto, per vedere avanzare la qualità e la stabilità dei rapporti di lavoro.


Già oggi appare chiaro che gli investimenti del PNRR potranno avere effetti positivi sull’occupazione solo se prenderà efficacemente avvio il Piano Nazionale per le Nuove Competenze (PNC): in caso contrario, la ricaduta di tanto impegno finanziario rischierebbe di ampliare il già considerevole mismatch tra competenze necessarie e competenze disponibili[4].


Su quest’ultimo aspetto non ci si può concedere distrazioni o ritardi: il rischio è quello di accorgerci improvvisamente di essere stati superati irrevocabilmente dal fronte in movimento: un po’ come accadde nel finale al protagonista della Coscienza di Zeno.



[1] Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, Nella fine è l’inizio, Il Mulino, Bologna, 2020 [2] Per chi volesse conoscere questa forma id lavoro in tutti i suoi risvolti: Domenico De Masi, Smart Working, Marsilio, Venezia, 2020 [3] Per dare un’idea delle possibilità che una manovra sugli orari offrirebbe, rimando a un bel libro: Piero Pessa, Orari e Lavori, Ediesse, Roma, 2007 [4] Interessante in proposito la recentissima intervista del Ministro del Lavoro Andrea Orlando su Pandora Rivista 2/2021

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