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  • Pestapere

Non sottovalutiamo il Populismo.

Aggiornamento: 5 dic 2022



Globalizzazione e Nuove Tecnologie hanno generato Immigrazione non gestita e crisi del Lavoro da cui traggono forza Populismo e Divergenza: che fare?


Il Populismo merita attenzione.


Quando, in qualche confronto, ci si trova a fronteggiare posizioni populiste la tentazione è sempre quella di denunciare sic et simpliciter la loro inadeguatezza e di far risaltare la frequente “incompetenza” degli interlocutori.


In Italia, a differenza che nel resto del mondo, il termine populista ha quasi sempre un valore negativo e viene abitualmente utilizzato per fare riferimento a un pensiero che diffida della politica e delle istituzioni.


Solitamente, la realizzazione delle speranze populiste viene affidata al carisma del tribuno di turno che tende a autorappresentarsi come “esterno al sistema” e vero interprete delle istanze provenienti “direttamente dalla gente”.


L’intonazione di queste istanze è quasi sempre nel segno di una semplificazione più suggestiva che idonea a risolvere le situazioni sulle quali aspirerebbero a intervenire; quasi sempre si tratta di soluzioni tanto di facile “vendita” quanto di difficile praticabilità.


Nonostante quelli che appaiono limiti evidenti, il populismo, non solo continua a prosperare sia a destra che a sinistra dello schieramento politico, ma, in certe situazioni, condiziona anche l’agire dei partiti storici.


La persistenza e la progressione del fenomeno deve farci prendere coscienza della necessità di approfondirlo sia rispetto alla sua genesi che rispetto alle possibili conseguenze di un suo dilagare indisturbato.


L’irrisione e gli atteggiamenti di superiorità che le élites riservano ai populisti si stanno dimostrando controproducenti e rischiano di provocare effetti simili a quelli della benzina sul fuoco.


Un aspetto da evidenziare è che, per una sorta di eterogenesi dei fini, l’incompetenza dei populisti si trova alleata con l’antitetico atteggiamento dei tecnocrati nell’alimentare la c.d. antipolitica.


Globalizzazione e Nuove Tecnologie tengono in vita il populismo.


Rispetto alle cause del fenomeno populismo così come si configura attualmente, due sono quelle prevalenti: la globalizzazione e le nuove tecnologie, considerate partitamente e nella loro formidabile sinergia.


La globalizzazione gioca in materia un duplice ruolo.


Su un versante, l’entrata in scena di nuovi attori e l’incremento esponenziale dell’interdipendenza tra le diverse parti del globo ha determinato una divisione internazionale del lavoro e del benessere che ha portato vantaggi a livello aggregato ma che ha certamente penalizzato la classe media occidentale.


L’osservazione della realtà ci conferma che, negli ultimi anni, proprio da questo ambito sociale è partito lo “scivolamento” di ex piccolo borghesi, o aspiranti tali, che vanno ad infoltire il numero, se non degli ultimi, dei penultimi.


Su un altro versante, la globalizzazione, grazie alla attuale pervasività dei media, permette ai Paesi occidentali di esercitare agevolmente il loro appeal sulla parte più sfavorita del mondo e, conseguentemente, di attirare un numero crescente di immigrati alla ricerca di sicurezza o anche, semplicemente, di fortuna.


Purtroppo, ad oggi, il tema dell’immigrazione rimane confinato in un dibattito sui principi, sostanzialmente a sfondo umanitario, tra chi vorrebbe costruire altissimi muri e impenetrabili blocchi navali e chi vorrebbe accogliere tutti a prescindere.


Un tratto comune a entrambe le parti è, frequentemente, un’incauta banalizzazione del fenomeno che, di fatto, resta scarsamente gestito.


La conseguenza è che il peso di una immigrazione non gestita, e non utilizzata per le sue potenzialità positive, viene gettata sulle spalle di quelle fasce di popolazione già alle prese con gli effetti negativi della globalizzazione.


Ulteriore corollario di questo stato di cose è la crescente tensione tra i nativi scesi nella scala sociale e gli ultimi arrivati nonché il degrado dei territori periferici teatro del confronto.


Di fatto, i ceti agiati sono in grado di proteggersi dall’immigrazione praticando la separazione abitative e scolastica[1] mentre le classi popolari, non potendosi permettere questa separazione, sono abbandonate alla pressione dei nuovi arrivati e maturano “naturalmente” una crescente diffidenza rispetto a una politica ritenuta, non a torto, responsabile del loro disagio.


Sempre all’origine del populismo anche l’avvento delle nuove tecnologie collegate allo sviluppo della rete e alle crescenti utilizzi dell’Intelligenza Artificiale, che, nei confronti dei ceti svantaggiati, non ha quell’impatto positivo che ha su quella parte della società in grado, per studi, ceto o attitudine, di cavalcarne l’onda.


Una caratteristica delle tecnologie sopravvenienti è, infatti, quella di aver provocato una polarizzazione delle opportunità professionali tra mansioni iper specialistiche profumatamente remunerate e lavori poco qualificati (tipicamente ma non solo, quelli che insistono nell’area della logistica) facendo venir meno le mansioni destinate ai Clerical Worker che erano il rifugio e il decoro delle classi medie.


I lavori figli delle nuove tecnologie, nella loro fascia inferiore, sono spesso carenti[2] sia dal punto di vista del rispetto dei diritti fondamentali, (libertà di associazione sindacale, diritto alla privacy…), sia dal punto di vista del rispetto delle condizioni di lavoro (riposi, adeguatezza delle retribuzioni, sicurezza…), sia delle condizioni di contorno (Servizi per l’Impiego, Controlli ispettivi etc.).


Nonostante la pressante attenzione dell’OIL a livello globale, le carenze sono presenti sia nei lavori nuovi, resi possibili dalle recenti tecnologie (in genere caratterizzati da estrema parcellizzazione / taskificazione), sia nei lavori tradizionali ma “piattaformizzati”[3] (“lavoretti”).


Se concordiamo sulla circostanza che la crisi del lavoro e i problemi derivanti dall’immigrazione non gestita (derivanti rispettivamente dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione) siano stati gli inneschi più importanti del populismo, resta da precisare le conseguenze che il mancato contenimento dello stesso potrebbe comportare sulla sopravvivenza del nostro modello di società.


Dissenso e Divergenza


Il nostro modello sociale e di Stato è ispirato al pluralismo: una condizione in cui possono coesistere fruttuosamente individui e gruppi di orientamenti diversi in diversi settori.


In tale condizione il dissenso, formalizzato o no, non solo è tollerato ma, a determinate condizioni, è occasione di crescita per tutti.


Ci si è interrogati su quale possa essere il ventaglio del dissenso ammissibile in un sistema democratico e pluralista e, pur non avendo potuto determinarne con esattezza i confini, si è convenuto che il dissenso compatibile con il pluralismo è quello che non arriva a trasformarsi in divergenza[4].


Il termine di divergenza designa un dissenso che non verte più sul presente ma, precipuamente, riguarda il futuro e le prospettive generali del sistema che vengono rifiutate in radice o giudicate estranee ai bisogni immediati.


Un esempio significativo in proposito è la crescente definizione di nuovi “diritti civili” che tanto appassiona le classi dirigenti quanto lascia quasi del tutto indifferente i ceti popolari.


La prospettiva di un dissenso che diventasse divergenza sarebbe dunque rovinosa proprio perché una parte rilevante della popolazione si troverebbe a coltivare una congerie di progetti aventi come comune denominatore la difesa di interessi contingenti scollegati all’interesse generale o di altri gruppi.


È mia convinzione che la divergenza, come appena definita, e di cui comincia vedersi traccia nel crescente astensionismo elettorale, sia, allo stato delle cose, il brodo di coltura del populismo.


Già oggi, d’altra parte, i due fenomeni si alimentano reciprocamente.


Per queste ragioni ogni atteggiamento di sufficienza o di superiorità deve lasciar posto a un impegno di recupero e di rinnovata attenzione ai bisogni degli ultimi anche quando sono espressi in forme irragionevoli o giudicate primitive: la sfiducia nella politica può avere conseguenze gravi e non può esser lasciate crescere impunemente.


Non potendo intervenire, almeno direttamente e in tempi brevi, sulla globalizzazione e sulle nuove tecnologie, occorre pertanto, cercare di intervenire sui loro effetti indesiderati come sopra individuati e sui pensieri dei populisti.


Gli interventi rivolti al Lavoro e ai problemi generati dall’immigrazione abbandonata a sé stessa si dovranno, sinteticamente, concretizzare nella messa a punto di regolazioni aggiornate, di controlli e, soprattutto, in una gestione attenta, predittiva e inclusiva nei fatti.


Per quanto concerne i cittadini classificati come populisti i tentativi di “associarli” finora posti in essere sono stati debitori di una visione di breve periodo e ispirati, generalmente, dal desiderio di blandirli in vista di qualche appuntamento elettorale.


Un tentativo più impegnativo, ma di lungo periodo e meritevole di essere intrapreso, sarebbe quello mirato a riassorbire stabilmente il dissenso in procinto di diventare divergenza.


Questa operazione di nobilitazione e metabolizzazione non strumentale dei desiderata populistici deve passare attraverso la faticosa costruzione di catene consequenziali che facciano evolvere le istanze provenienti dal basso e le faccia diventare un progetto da coltivare nella inevitabile complessità.


Nella fattispecie, costruire una catena consequenziale[5] consiste nel portare a fattor comune le eterogenee domande, provenienti dai singoli populisti, mirate a risolvere problemi particolari.


La costruzione di nessi logico politici, che spostino l’interesse dalla singola, occasionale rivendicazione e la collochino in un contesto più condiviso, permetterebbe la realizzazione di un progetto complessivo sul quale aggregare i cittadini che, per questa via, riscoprirebbero la buona politica.


Le risorse messe a disposizione dal PNRR rendono finalmente possibile affrontare i costi e le evidenti difficoltà di una siffatta operazione di riassorbimento e reindirizzamento; l’ottenimento di un qualche risultato costituirebbe una tappa decisiva verso un Liberalismo Inclusivo[6] che, ad avviso di molti, costituirebbe il punto di arrivo strategico del Piano.


Con la formula Liberalismo Inclusivo si intende far riferimento a un Liberismo che riesca a coniugare le esigenze e i benefici della modernità con quelli della riduzione delle diseguaglianze e del rispetto dell’ambiente.


Anche da questo punto di vista, l’opportunità del PNRR, nonostante la severità della sfida, va colta in tempi brevi: oggi Esopo ci ripeterebbe “hic Rhodus, hic salta”.


[1] La società non esiste, Christophe Guilly,Luiss, Roma, 2019 [2] Lavoretti, Riccardo staglianò, Einaudi, Torino,2018 [3] Schiavi del clic, Antonio A Casilli, Feltrinelli, Milano, 2020 [4] Viaggio al termine dell’occidente, Carlo Bastasin, Luiss, Roma, 2020 [5] Populismo di sinistra, Chantal Mouffe, Editori Laterza, Bari, 2018 [6] Il concetto è ben sviluppato in Liberalismo Inclusivo, Michele Salvati e Norberto Dilmore, Feltrinelli, Milano, 2021

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