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Due radici, tra le molte, di Papa Francesco.

Aggiornamento: 5 dic 2022



Mentre i collegamenti Francesco - Origene sono più conosciuti, quelli con la scuola di Francoforte sono più recenti e sorprendenti.


Se ci si ponesse in ascolto di un brano musicale con orecchio poco esercitato, giunti al termine, si potrebbe soltanto dire se il pezzo sia stato, o no, piacevole; in un secondo tempo, a mano a mano che si procedesse negli approfondimenti, si comincerebbe a cogliere e ad apprezzare nessi e collegamenti, inizialmente non avvertiti, con altri compositori anche lontani.


La stessa considerazione può essere formulata per i documenti e le parole dei papi, e quindi anche di Papa Francesco, che pure ha il dono di una comunicazione diretta che sa arrivare fino agli ascoltatori meno attrezzati.


Nella lettura e nell’ascolto di Francesco, a un primo livello, ci colpisce la grande capacità comunicativa e l’empatia che non cede mai al “politicamente corretto”; al livello successivo, ci avvediamo dei frequenti riferimenti alle Scritture e ai documenti della Chiesa; di seguito, senza la necessità di essere teologi o filosofi, non è difficile ritrovare la eco di quanto seminato nella storia della Chiesa dai Padri e da grandi pensatori non tutti necessariamente cattolici militanti (per limitarsi ai moderni e alla rinfusa: Bonhoeffer, Levinas, Maritain, Ricoeur e moltissimi altri).


Ci si rende conto, insomma, che, nel parlare di un Papa le frasi improvvisate, “cadute dal cielo”, senza nobili radici, sono davvero rare.


Due di queste fonti di ispirazione, diverse e lontane nel tempo, colpiscono, più di altre, la mia sensibilità: Origene (185-232) e T. Adorno (1903-1969).


Nella Chiesa, vorrei dire fortunatamente, durante i secoli, si sono confrontati più filoni di pensiero: tra questi l’Origenismo e l’Agostinismo; il primo, più attento all’importanza decisiva della Misericordia, il secondo, più attento alla Grazia come meta criterio salvifico. Si è osservato che, il primo orientamento sia più in sintonia con il Prologo di Giovanni, mentre, il secondo, sarebbe più consonante con la Dottrina della Giustificazione sviluppata nelle lettere di Paolo.


In senso tecnico, Origene non ha mai ottenuto il riconoscimento di Padre della Chiesa in quanto, non a torto, gli è stata imputata una posizione subordinazionistica in materia trinitaria e la Dottrina dell’Apocatastasi (vulgo: la salvezza del diavolo) ma questa circostanza non gli ha impedito di diventare un gigante del pensiero cristiano.


Proprio per aver concepito il disegno divino come disegno di salvezza senza possibili eccezioni, Origene è unanimemente considerato il campione della Misericordia e, come appena accennato, è, abitualmente contrapposto a Agostino, considerato interprete di una visione più carismatica, e elezionistico-duale (per certi versi, precorritrice di quella protestante).


Francesco, d’altra parte, si è subito caratterizzato come il il Papa della Misericordia, un tema, presente fin dal suo primo Angelus, che ha trovato nel Giubileo straordinario del 2016 e nella Lettera Apostolica di chiusura “Misericordia et misera” (termini tratti da un passo di Agostino), la massima espressione.


La frase “la misericordia non è una dimensione fra le altre, ma è il centro della vita cristiana: non c’è cristianesimo senza misericordia”: è “l’aria da respirare” riassume bene il pensiero del papa.


L’accostamento di Francesco, il Papa della Misericordia, a Origene, il pensatore che salva perfino il diavolo, è dunque quasi obbligato ma, per quanto sussistente, necessita di una precisazione che ponga in rilievo due accenti differenti.


In Francesco, la Misericordia emerge, primariamente, come un atteggiamento radicato nella Carità verso il prossimo e che consente ai peccatori di trovare, a loro volta, perdono.


In Origene, la Misericordia, pur passando attraverso l’interiorità di Gesù Cristo, “abisso di paternità” (Com GvII, 12) e modello per i credenti, ci appare, soprattutto, come una necessità di ordine sistematico ontologico.


L’infinita misericordia di Dio attende e accoglie tutta la realtà in una unità che vince la distinzione delle creature -immagini di Dio e che non possono non tornare alla luce.


La ricapitolazione di Origene avviene, tuttavia, in forza di una Dynamis, di un movimento logico, che permea il reale: un movimento talmente stringente e ineluttabile da risucchiare (mia espressione) financo il Maligno (e tale da imporre una difficile conciliazione con il Libero Arbitrio).


Più inattesi risultano i riferimenti del Papa a T. Adorno, anche se non deve e non può sfuggire il profondo significato della pubblicazione, nel 2021, di Minima Moralia, la più importante opera del filosofo, da parte della casa editrice della Pontificia Università Gregoriana e la sua collocazione nella Collana dei Grandi Libri della Tradizione Cristiana (!).


Adorno, esponente di assoluto rilievo della prima Scuola di Francoforte, ha denunciato con forza la razionalità strumentale della società moderna che si fa largo a scapito degli uomini e della natura che diventa destinataria di una conquista predatoria e distruttiva.


Per il pensatore ebreo tedesco non è possibile dare un’immagine positiva neppure della Speranza, che può essere definita solo partendo da chi non ha speranza; per Adorno, l’unico atteggiamento praticabile resta quello della Mimesis: il movimento di un soggetto che abbandona la propria autoreferenzialità e che, davanti al mondo, “sempre estraneo e esposto”, non “aggredisce” ma si rende affine.


Un pensiero, quello del filosofo, che non procede sulla capacità di ritagliare ciò che è utile da ciò che non è utile ma che indugia sugli ultimi, sugli uomini scartati dallo sguardo identitario della visione dominante; un pensiero che diventa un invito a guardare il mondo dal punto di vista dell’umanità scartata.


Se non bastasse la condivisione, nei più recenti documenti pontifici, della critica adorniana alla logica razionalizzante, oggi imperante nella società tecno liberista, come non avvertire Adorno nelle parole del Papa quando, insistentemente, chiede ai cristiani di dare voce e speranza alle vittime dell'economia e della “cultura dello scarto”?


Questa attenzione ad Adorno da parte di Francesco fa seguito a quella di Benedetto XVI nei confronti di Habermas di cui, primariamente, il Papa emerito apprezzava l’abbandono della visione marxista dei Francofortesi e al quale era legato pure da amicizia personale.


Questi contatti personali e ideali ci parlano di una sensibilità non episodica, da parte vaticana, verso gli studi di molti esponenti della Scuola di Francoforte: una sensibilità rivolta, non tanto ai presupposti immanenti e alle conclusioni delle indagini, ma, piuttosto, alle sue analisi e alle sue denunce.


Se questa mia impressione è esatta, mi attendo che presto, nelle parole dei papi troveranno spazio anche le parole di altri due esponenti della Scuola dei nostri giorni: Axel Honneth (1949) e Hartmut Rosa (1965)


Il primo, in estrema sintesi, si appella al paradigma del “Riconoscimento” e ci ricorda che, accanto alle stringenti necessità materiali, sia vigente in ognuno, e in particolare negli ultimi, l’impellente bisogno di essere “riconosciuto” dagli altri in vista della propria realizzazione.


H. Rosa, dopo un approfondito esame dell’attuale compagine sociale, devastata dall’elemento della accelerazione di tutti i processi, offre una lettura della realtà come una “catastrofe di risonanza” in cui il soggetto e il mondo rimangono indifferenti e nemici e stanno di fronte senza una connessione che, se attivata, arricchirebbe reciprocamente i soggetti e la realtà.


Un assorbimento dei paradigmi del riconoscimento e della risonanza, concetti che sembrano essere stati costruiti per essere riempiti di valori cristiani, sarebbe oltremodo auspicabile e si collocherebbe in un continuum con il palese apprezzamento papale delle analisi di Adorno.


L’adozione dei due approcci in ambito cristiano, potrebbe aggiornare riccamente lo strumentario della Chiesa impegnata nella messa a punto di una sempre più efficace azione di individuazione e soccorso nei confronti dell’umanità sparsa nelle periferie esistenziali dei nostri giorni.

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